Gianni Berengo Gardin " Io odio le vacanze perché non ho niente da fotografare"

by Isabella

Gianni Berengo fotografato da Roberto Zanleone

Martedì scorso la mostra di Gianni Berengo Gardin a Palazzo Reale era guidata da Berengo in persona. Se eravate a Milano e non avete partecipato avete fatto male.

Berengo che è uno dei più importanti fotografi italiani, non vuole essere considerato un artista ma un testimone della sua epoca. 

 Gianni Berengo non è milanese ma è molto legato a Milano, perché l’ha fotografata continuamente, perché è qui che ha scelto di vivere e perché nel 2012 gli è stato consegnato l’Ambrogino d’oro.

Berengo attraverso la fotografia ha raccontato tantissime storie e si è occupato di reportage sociale. Ha fotografato i manicomi prima della legge Basaglia, i campi rom, le condizioni dei lavoratori e dei disoccupati. Tutte queste cose le trovate scritte sui libri o su wikipedia, quindi mi fermo qui. Quello che voglio raccontarvi, sono alcuni momenti di questa speciale visita guidata.

I baci

“Dovete sapere che nel 1953 in Italia era proibito baciarsi per strada. Potevano arrestarti per oltraggio al comune senso del pudore. E invece in quegli anni ero andato a Parigi e avevo visto che tutti si baciavano per strada, con una libertà incredibile. Questa cosa mi ha scioccato e così ho cominciato a fotografare i baci a Parigi. Ero anche un po’ invidioso… (sorride) Da quel momento ho continuato a fotografare i baci, perché per me i baci rimangono una cosa proibita dallo stato. L’idea romantica del bacio rubato, mi è rimasta.”

L’indovinello nella stanza dei baci

Gianni Berengo Gardin ha sempre scattato solo ed esclusivamente in pellicola e mai in digitale. Mai tranne una volta in vita sua, e la foto “incriminata” era esposta. Così è stato chiesto ai visitatori di riconoscerla. Un ragazzo ha alzato la mano e ha detto “E’ quella con i ragazzi che si baciano di fianco alla signora con il barboncino”. Allora Gianni Berengo, compiaciutissimo, ha detto “Bravo, si riconosce subito una foto digitale, vero? Non ha la grana, se ti avvicini si vedono i pixel. Hai occhio. Bravissimo!” A quel punto il ragazzo ha alzato nuovamente il ditino e ha detto “Devo essere onesto. Devo ammettere però che non l’ho riconosciuta per la mancanza di grana, ma perché lo sapevo già, l’avevo letto su internet”. Sono seguite le risate della classe!

La legge Basaglia

“Ho fotografato molti manicomi prima della legge Basaglia. Queste fotografie hanno aiutato un po’ Franco Basaglia a far approvare la legge 180. La legge 180 è molto criticabile, ma per Franco Basaglia era solo un inizio, poi l’avrebbe modificata. Purtroppo è mancato quasi subito dopo e la legge è rimasta quello che era. Certamente la legge va modificata ma tra il modificarla e riaprire i manicomi come vorrebbe Berlusconi, il passo è enorme. E quindi ci dobbiamo battere perché il pdl non ottenga questa cosa orribile. Nelle foto dei manicomi non abbiamo mai fotografato la malattia, ma solo le condizioni in cui erano tenuti i malati di mente. Quando fotografavamo chiedevamo ai malati il permesso. Loro capivano benissimo perchè li volevamo fotografare e non ci facevano nessuna difficoltà.”

I rom

“Io sono stato con loro un mese e mezzo a Firenze, 15 giorni a Palermo, e anche a Bolzano e ho trovato della gente di una generosità incredibile. Fra loro ci sono poeti fantastici, musicisti e scrittori bravissimi. Sono un popolo come un altro, perseguitato dagli italiani. Forse voi non lo sapete, ma fino a 15, 20 fa se una donna zingara partoriva in un ospedale italiano, dopo il parto le chiedevano di andare a casa e di tornare dopo qualche giorno a riprendere il bambino. Soltanto che quando tornava, il bambino non c’era più.  Lo stato italiano lo aveva dato in adozione a una famiglia italiana. Questa è una delle cose orribili che facevamo noi agli zingari.”

“Ma lei per chi fotografa?”

Una ragazza ad un certo punto ha domandato “Ma lei fotografa per sè stesso o per gli altri?”. Dal tono della domanda, credo proprio che si aspettasse di sertirgli dire “Per gli altri, solo per gli altri!”. Invece Gianni Berengo ha risposto“Tutte e due le cose. Adesso per esempio mia moglie mi ha obbligato a fare una settimana di vacanza in montagna. Io odio le vacanze perché non ho niente da fotografare. E allora ho fotografo per 7 giorni la stessa casa pur di fare delle fotografie. Delle foto che non stamperò mai, però l’idea di scattare mi appassiona.”

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Poi c’è questa foto scattata a Milano nel 2005, che mi piace tantissimo. Qui non si vede nessuna faccia in primo piano e nessuna storia in particolare, e forse la sua forza è proprio questa: perché in questo caso la storia da raccontare è proprio la comunità.

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Gianni Berengo Gardin. Storie di un fotografo

www.mostraberengogardin.it
dal 14 giugno all’ 8 settembre 2013
Palazzo Reale
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