Il Teatro alla Scala e le prove antegenerali

by Isabella


Voglio raccontarvi un bellissimo sabato pomeriggio di qualche anno fa.
Mi aveva chiamato il mio amico Sacha e mi aveva detto “Isa andiamo alle prove generali di Madame Butterfly, ci vediamo davanti alla Scala alle 3!” e io “Ok, ok arrivo!”. Alle 3 davanti al Teatro alla Scala, c’era ad attenderci, trepidante, un giovanissimo avvocato incravattatissimo, maniaco del controllo, lumacone, conosciuto da Sacha durante qualche corso di lingue, che aveva dato appuntamento a un gruppetto di conoscenti per regalare loro un’esperienza esclusiva e aristocratica. E noi tutti gli saremmo stati grati per questo. Con l’aria da benefattore, teneva in mano con finta nonchalance i biglietti dorati che ci avrebbero fatto mettere piede nel teatro e assistere alle prove antegenerali dell’opera del grande maestro Giacomo Puccini.

Io al Teatro alla Scala fino a quel momento avevo messo piede solo un’altra volta, anni prima, quando era venuta a trovarmi Simona, la mia amica cantante lirica al Teatro Massimo di Palermo.
E così con il nostro cappotto migliore della Benetton, appena 19enni, ci eravamo dirette serissime verso una maschera. Aveva parlato Simona, e aveva detto “Buongiorno, sono una cantante lirica, e spero un giorno di cantare qui alla Scala, intanto adesso mi piacerebbe anche solo sbirciare. SI PUO’? La prego!” e lui senza battere ciglio “Ok ragazze, però soltanto un attimo”. E così la maschera ci aveva scortato lungo il foyer Toscanini e poi ci aveva aperto silenziosamente le porte centrali a piano terra, quelle che portano in platea. Simona davanti al palco vuoto, che la invitava a salire, si è messa a piangere per la commozione.

Insomma dopo dieci anni, stavo per tornare, anche se non si trattava proprio della Prima alla Scala.

Quel sabato pomeriggio il gruppetto era composto da: il capogruppo giovane-avvocato-incravattato-maniacodelcontrollo-lumacone, una coppia di fidanzati che si tenevano saldamente a braccetto, io e Sacha, e una ragazza che essendo venuta sola era molto impaurita. Lei, senza proferire parola chiedeva aiuto, e con gli occhi sembrava implorare me e Sacha di non separarci una volta entrati, di non lasciarla mai per nessun motivo al mondo. Cioè sola con il capogruppo.

Alle 3.30 era quasi tardi, era ora di entrare e così era arrivata una maschera ad aiutarci a trovare i nostri posti. Cioè più che altro ci aveva squadrato e aveva preso delle decisioni a nostra insaputa. Ci aveva detto di seguirlo e poi silenzioso come un boia, per primi aveva scaraventato i due fidanzati in un palchetto, e poi velocissimamente aveva acciuffato il giovane-avvocato-incravattato-maniacodelcontrollo-lumacone, e lo aveva infilato in un altro palco. E insieme a lui, lei, la sua vittima, la ragazza impaurita.

Mentre la loro porta si chiudeva, giuro di non avere mai mollato l’occhio della fanciulla con la pupilla sempre più dilatata. Un’immagine con la stessa drammaticità dell’occhio della madre di Sergej Michajlovič Ejzenštejn. Nel silenzio riuscivo anche a sentire un urlo muto, mentre si impossessava di me un sentimento di colpa insopportabile per averla tradita. Ma la porta si era chiusa (forse il giovane-avvocato-incravattato-maniacodelcontrollo-lumacone aveva afferrato prontamente la maniglia) e io non potevo fare più niente. Quell’occhio così drammatico e intenso mi aveva catapultato da un tranquillo sabato pomeriggio milanese, nell’atmosfera dell’Opera, quella dei sentimenti forti e chiari.

Infine la maschera piazzava dentro gli ultimi due: me e Sacha. Il nostro palchetto non era tutto nostro, lo dividevamo con una coppia di ragazzi molto giovani ed eleganti, che stavano seduti con le spalle dritte, ed erano attentissimi. Insomma due secchioni. I posti nel palchetto erano scomodi, e non si vedeva quasi niente. Ma le prove generali sono comunque un’esperienza bella perché ti sembra di contribuire alla preparazione del grande debutto.
Non sarebbe strano se un elettricista ti chiedesse di passargli un filo o il sarto di cucire un orlo. Alle prove generali non tutti gli attori indossano i vestiti di scena. Cioè alcuni si, mentre altri magari hanno un cardigan da casa, di quelli a cui manca un bottone. Però l’impegno di tutti è massimo. I nostri compagni secchioni erano gentili, perchè a metà delle prove, dandoci del lei, ci avevano proposto di cambiare posto. Noi avevamo accettato, e in effetti da lì appoggiati con il gomito fuori, era tutta un’altra cosa. Forse loro si erano scocciati e preferivano imboscarsi sul divanetto dietro, ma io non mi sono mai girata a guardare. Ero rapita dalla musica, le voci e i costumi, e stavo cominciando a soffrire come si deve fare in questi casi, quando purtroppo ho capito che quel pomeriggio non solo gli attori non avrebbero provato tutte le scene ma non le avrebbero provate neanche nell’ordine corretto. Quindi la trama era perduta. Ma non le emozioni e così quando Cio-Cio-San (Madame Butterfly), rivolgendosi alla cameriera Suzuki, immagina il momento felice, in cui Pinkerton, il suo sposo americano, farà ritorno a casa e canta “Un bel dì vedremo” non ho potuto fare a meno di pensare alla fanciulla riunchiusa nel palco di fianco al nostro, sicuramente immedesimata, immaginare anche lei il suo momento felice (quello della fine delle prove di Madame Butterfly).

Insomma per me è stata un’esperienza bellissima, che consiglio. E sappiate che non avete bisogno di scendere a compromessi con il benefattore di turno lumacone, perchè alle prove della Scala, possono andarci tutti, cioè tutti quelli sotto i 30 anni. Basta recarsi in biglietteria centrale dimostrare di avere meno di 30 anni e ritirare il biglietto. L’ingresso è gratuito e ogni persona ha diritto a un solo biglietto, fino ad esaurimento posti.

  1. Nessun Commento su “Il Teatro alla Scala e le prove antegenerali”