Anna Steiner racconta i suoi genitori: Albe e Lica

by Isabella

Immagine: Ugo Mulas, Albe e Lica Steiner.

Foto di Albe e Lica Steiner, di Ugo Mulas.

 

Io e Francesca del blog LovelyMilano ci siamo conosciute durante una visita guidata organizzata dall’associazione Città Nascosta Milano. Quel giorno Anna Steiner ci apriva la porta del suo studio per raccontarci appassionatamente la storia dei suoi genitori Albe e Lica Steiner. Albe e Lica non furono solo due maestri della grafica italiana, ma seppero unire arte, design e impegno politico e sociale. La visita guidata però durò troppo poco per i nostri gusti e così qualche giorno fa siamo tornate a trovare Anna.

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Anna: Cosa volete sapere?

onalim&lovelymilano: Tutta la storia

Anna: Sulla primissima carta intestata era presente il logo di Albe e Lica Steiner, LAS, e sotto scritto: Grafica – Foto – Pubblicità. Poi, nel tempo, è scomparsa la scritta Pubblicità, poi Foto e infine Grafica. Il loro piccolo studio era nato nel ’39, ed erano anni di piena clandestinità, erano già passate le leggi razziali e il fascismo era affermato. 

 

onalim&lovelymilano: Erano sfollati?


Anna:
 I genitori della mia mamma erano sfollati nella casa sul Lago Maggiore, vicino a Meina, come tanti altri ebrei. C’è anche un film, “Hotel Meina“, che racconta la prima strage degli ebrei in Italia, durante la quale hanno perso la vita mio nonno e due suoi parenti. I miei genitori in quegli anni vivevano e lavoravano tra Milano e Mergozzo: ad esempio, mio padre aveva una consulenza con la Bemberg e una anche per Agfa, per la quale impaginava la rivista sperimentale Note Fotografiche . Insomma lavoravano, ma organizzavano anche la resistenza al Fascismo. In quegli anni c’era anche altro, molto altro, da cui difendersi.

 

onalim&lovelymilano: I primi anni sono stati i più difficili.

Anna: Sì, e i più importanti anche dal punto di vista culturale, perché in quegli anni sono nati rapporti con persone con cui hanno continuato a lavorare anche dopo la fine della guerra, ad esempio con i BBPR (BBPR è l’acronimo che indica il gruppo di architetti italiani costituito nel 1932 da Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers). Banfi e Belgioioso furono presi per delazione, questo non si dice tanto, ma sono stati presi tutti e due perché Belgioioso non volle far andare l’amico da solo. (Anna si commuove)


Architetti BBPR

E’ sempre stato così, soprattutto nelle città. Anche mio mio nonno fu preso per delazione, anche se in campagna. Ero ieri all’incontro qui a Milano per il Giorno della Memoria, all’Hotel Regina, in via Silvio Pellico, che era la sede della Gestapo, dove venivano torturati gli antifascisti per ottenere altri nomi. I miei genitori mantennero i contatti con Rogers, che era ebreo, anche dopo il  ’38 quando fu costretto ad andare in Svizzera. Già allora, lì era presente già una scuola di grafica innovativa, mentre in Italia invece c’erano solo Brera, una scuola tipografica Bodoniana e la scuola dei salesiani che formava dei grafici, ma erano più tecnici. Non c’era una scuola di grafica formativa. 

onalim&lovelymilano: Anche suo padre era un autodidatta. Mentre sua madre aveva studiato.

Anna: Sì, mia mamma aveva studiato alla Scuola d’Arte Francese, che era la scuola per le signorine della buona borghesia, dove si studiava musica, arte, e lingue. Ha avuto una formazione più vicina alla professione che poi ha svolto, rispetto a mio padre che aveva fatto ragioneria.

 

onalim&lovelymilano: Suo padre poi si impegnò molto nella formazione, forse proprio perché non l’aveva avuta.

Anna: Si, già nel ’45, sia mio padre che mia madre parteciparono come insegnanti ai Convitti Rinascita, che ospitavano gli orfani di guerra. La cosa interessante di queste scuole è che non offrivano solo una formazione di mestiere generico, ma c’era stato un interesse da parte dei fondatori, che avevano fatto la resistenza, di ricostruire l’Italia in un modo diverso: non formavano quindi solo artigiani, ma anche persone che potessero lavorare nel mondo della comunicazione. I miei genitori chiamarono a insegnare Max Huber con Romolo Muratore e suo fratello Remo, che curò tutta la grafica del Piccolo Teatro. C’era anche Gabriele Mucchi, che era pittore, architetto e anche designer, che ha disegnato poltrone che Zanotta vende ancora oggi. Erano tutte persone che avevano lavorato insieme ed erano antifascisti.

 


onalim&lovelymilano:
 Infatti suo papà diceva che si poteva lavorare con tutti tranne che con i fascisti. 

Anna: Sì.

 

onalim&lovelymilano: C’è stato qualcuno a cui lui ha detto di no?

Anna: Tantissimi! E la cosa è continuata per molto tempo. Anni fa, mio papà non c’era più ma c’era ancora la mia mamma, ci avevano chiesto di fare propaganda per la Lega: ho detto che non era proprio possibile fare una cosa in cui, non solo non si crede, ma che si crede anche possa essere nociva.

 

onalim&lovelymilano: E’ così bello dire di no, in certi casi.

Anna: Sì, che soddisfazione! Non ho dovuto dire “Mi richiami, devo parlarne con qualcuno”, ero sicura. Ci sono state altre vicende di questa natura: i miei genitori lavorarono anche per la Pirelli, ma quando mio padre si presentò nelle liste comunali del Pci, il responsabile dell’azienda, Arrigo Castellani, che era un suo caro amico, gli scrisse che non potevano più collaborare. Mio padre rispose con una lettera personale, molto lunga, dicendo “Ti rendi conto di quello che stai dicendo? Mio fratello è morto perché si potesse essere liberi senza perdere il lavoro, e quello che stai dicendo è grave, non solo per me, ma per il messaggio che mandiÈ  questo il nodo di una democrazia.” Nel ’43 ha scritto una lettera in cui difendeva la categoria dei lavoratori come lui, che non esisteva all’epoca, e Lica si occupava delle donne artiste. Questa è stata la filosofia, un bell’insegnamento anche per i giovani di oggi che non hanno certezze ma poche garanzie, però ci sono stati periodi anche peggiori, quindi credere in qualcosa e tenere duro è fondamentale. Fare conoscere l’inizio di questo lavoro e le conquiste che sono state fatte con molto impegno è importante. Anche perché le conquiste non è detto che restino.

 

onalim&lovelymilano: Anche per questo è nato l’Archivio Steiner.


Anna:
 Sì, mio padre, Albe, ha sempre detto in famiglia che non voleva che disperdessimo il materiale di lavoro, perché testimoniava lo sforzo di costruire questa disciplina, in modo che potesse essere trasmessa. Dagli appunti, dagli schizzi, si capisce il percorso fatto e si vede il valore aggiunto del lavoratore che partecipa alla nascita di un prodotto, che sia una pubblicità o design.

 

onalim&lovelymilano: L’Archivio è stato donato al Politecnico di Milano, com’è successo?

Anna: Abbiamo valutato bene a chi donarlo, alla fine abbiamo deciso di lasciarlo al Politecnico di Milano, essendo un’università pubblica. Abbiamo chiamato la Sovrintendenza ai Beni Archivistici Regionali per un sopralluogo, e nel giro di 15 giorni è arrivata la dichiarazione di notevole valore storico. La Sovrintendenza ha mandato un architetto (che aveva già archiviato il lavoro di Baldessari) per informatizzare l’inventario ordinato da me con mia madre. Ci ha messo due anni e mezzo, lavorando sempre con la supervisione mia e di mamma, per necessità. L’archivio è stato donato nel 2004 e nel 2008, lo stesso giorno che è mancata la mia mamma, pensate che coincidenza, è stato istituito il bando di concorso per un posto a vita per la gestione dell’Archivio Steiner, così adesso c’è una persona presente che lo rende accessibile per gli studi, anche se con un orario a metà tempo .

 

onalim&lovelymilano: Qual è il lavoro di cui sua madre e suo padre andavano più orgogliosi?

Anna: Sicuramente la rivista Il Politecnico, e poi tutto il lavoro editoriale di quel genere, come anche la rivista Il Contemporaneo, legata a Rinascita, anche il libro “Si fa presto a dire fame” di Caleffi, e il lavoro che hanno fatto in Messico, dove dicono di avere imparato tantissimo da Hannes Meyer, ultimo direttore della Bauhaus.

 

onalim&lovelymilano: I suoi genitori lavoravano spesso insieme?

Anna: Hanno fatto tutti i lavori insieme, separati solo in pochissimi casi. Ad esempio, mia madre ha curato autonomamente la pagina della donna de l’Unità. Nessuno sa che il primo quotidiano in Italia che ha dedicato una pagina alle donne è statol’Unità. Io ero bambina, era il ’56 o il ’57 e andavo con lei in redazione. Mi piaceva da impazzire sentire le rotative, disegnare sui fogli grandissimi, e quell’atmosfera movimentata che c’era in redazione. E poi di solito insegnavano sia separatamente che, a volte, anche insieme.

 

onalim&lovelymilano: Le loro foto insieme sono così belle da fare impallidire tutte le coppie che non hanno la stessa affinità. Che rapporto avevano suo padre e sua madre?

Anna: Quelle foto sono di un grande fotografo, Ugo Mulas, che aveva capito tutto di loro. Si vede quest’adorazione che mio padre aveva nei confronti di mia madre. Lui proprio l’adorava (Anna si commuove di nuovo). Mia madre racconta bene nel documentario “Linea Rossa” di mio padre, dice “Sì, lui non era bello come io sognavo”. È bello come lo racconta, lei già novantenne, ma io non mi aspettavo che dicesse una cosa del genere! Mia madre aveva tre fratelli molto belli, in particolare il maggiore, che somigliava a Clark Gable, si vede che aveva questa idea di bellezza, poi però diceva che mio padre era intrigante, ed era unico. Erano sempre insieme.

onalim&lovelymilano: Come sono belle queste coppie che riescono a lavorare insieme!

Anna: Il loro, non è un caso isolato. Anche Elio Vittorini e Ginetta Varisco erano una coppia inscindibile, anche Giancarlo De Carlo e Giuliana Baracco. Forse la coppia di mia mamma e mio papà era la coppia più trasversale anche per il lavoro che facevano. Erano chiamati i Licalbe.

 

onalim&lovelymilano: Come si sono conosciuti?

Anna: Non l’ho mai capito bene. Forse in occasioni di svago nel tempo libero. Il mondo della borghesia colta non era così ampio e il circolo degli amici era quello. Però non lo so. Si sono sposati giovani, lei aveva 23 anni e mezzo e lui un anno in più. Mia madre nel documentario dice “Ci siamo sposati presto, come due bestie, perché ci siamo conosciuti poco, però avevamo deciso di stare insieme nel bene e nel male perché erano anni difficili”. Mio papà raccontava che si erano sposati più per indicazione del papà della mia mamma, perché ancora non aveva un lavoro fisso e la mamma di mio padre pensava che lui non avesse niente da offrire a una signora. Invece il papà della mia mamma disse “L’importante è che tu voglia bene a mia figlia, questi che verranno saranno anni difficili e se sarete insieme sarà più facile affrontarli, che non da soli“. E aveva capito bene. (Qui mi commuovo io)

 

onalim&lovelymilano: Com’era essere figlia di Albe e Lica?

Anna: Io sono nata in Messico, poi ci siamo trasferiti a Milano nel ’48 quando avevo 9 mesi e siamo andati a vivere dalla nonna paterna. Ogni tanto andavamo al lago, dove viveva l’altra nonna, quella materna, che chiamavamo la nonna volante perché ogni tanto andava a trovare i suoi figli, sparsi per il mondo: due in Messico, uno in Canada, solo una in Italia. Non era comodissimo.

 

onalim&lovelymilano: Adesso almeno c’è skype!

Anna: Sì, mentre allora comunicavano più con le lettere, che mia nonna conservava religiosamente. In un secondo momento ci siamo trasferiti in Corso Sempione, la casa non era piccola ma eravamo in tanti! Anche la tata ha vissuto sempre con noi, ha fatto anche la Resistenza. È stata presa dai fascisti, che cercarono di carpirle delle informazioni, ma non disse mai niente. Era molto più che una tata. In quella casa lo studio era nella camera da letto dei miei genitori, finché non si è liberato un appartamento vicino dove spostare lo studio.

 

onalim&lovelymilano: Che rapporto avevano i suoi genitori con Milano?

Anna: Un rapporto molto profondo, perché erano fra i soci fondatori del Piccolo Teatro, poi hanno partecipato alla Casa della Cultura, in via Borgogna, dove aveva sede la Libreria Einaudi, che ha sostenuto iniziative anche oltre la letteratura. Erano tutti amici in quel periodo, si auto-sostenevano economicamente.

 

onalim&lovelymilano: Che begli amici!

Anna: Questi luoghi, che poi sono diventati luoghi milanesi doc, sono stati voluti da chi ha combattuto contro il fascismo, a favore della libertà di pensiero. Anche Elio Vittorini, che era siciliano, si sentiva milanese pur non volendo perdere le sue origini, perché faceva parte di questo gruppo. Non a caso Milano è stata medaglia d’oro per la Resistenza, perché qui c’è stata anche un tipo di resistenza culturale. È documentato.

 

onalim&lovelymilano: Qual era un posto dove a loro piaceva anche soltanto andare a passeggiare?

Anna: Sicuramente erano passeggiate sentimentali quelle che facevamo per andare a trovare Elio (Vittorini) e la Ginetta (Varisco) in viale Gorizia 22, almeno due volte la settimana. Prima abitavano di fianco a noi in Corso Sempione, poi si trasferirono vicino ai De Carlo. Ho ancora le chiavi del portone di Viale Gorizia 22, non riesco a lasciarle (Anna si commuove ancora). Andavamo lì aprendo il portone con le nostre chiavi. Stavamo in casa loro a discutere, più che per strada. E poi si andava alla Libreria Aldrovandi, in via Manzoni, anche lì si andava a piedi, passando dalla Scala. Ma delle vere passeggiate per Milano, i miei genitori non avevano il tempo di farle. Ricordo una volta che passeggiavo con mio padre in via Montenapoleone, me la ricordo come una delle poche passeggiate, e ricordo che camminavo con delle scarpe che mi erano un po’ larghe, tanto che si sentiva il clippete clappete, e ad un certo punto mio padre mi disse “Accidenti hai delle scarpe che devono essere diventate vecchie, ciabatti, non va bene, adesso te ne compro un paio”. Non era mai successo, avrò avuto 18 anni. Mi ha comprato delle scarpe meravigliose, erano comodissime, me lo ricordo ancora! Mia madre invece mi raccontava delle passeggiate alla Rinascente, che facevano quando io ero molto piccola, per vedere le vetrine, perché erano un evento: le faceva mio papà con Max Huber. Oppure con Elio, la Ginetta e i De Carlo si andava a Morimondo, era bello. Su uno degli alberi mio papà aveva inciso W Elio Vittorini con un coltellino, e dopo qualche anno siamo tornati: la scritta si era ingrandita sulla corteccia. Che emozione!

 

onalim&lovelymilano: Un’ultima cosa, visto che di resistenza ha parlato tanto, oggi secondo lei, a che cosa bisogna resistere?

Anna: A ciò cui si resisteva prima, la sostanza non è cambiata. Bisogna resistere alle imposizioni di pensiero, alla mancanza di critica. Per essere critici, mi hanno sempre insegnato che bisogna conoscere più punti di vista e quindi, ad esempio, in casa mia, venivo interrogata sui quotidiani. In casa si leggevano almeno due quotidiani, possibilmente tre o quattro. Si compravano sempre l’Unità e Il Corriere, poi il Giorno e La Repubblica. Il sabato e la domenica se ne potevano comprare di più. Oggi si resiste, anche se si fa fatica, alla mancanza di critica. Con l’impero di alcune testate, sei forzatamente persuaso da un unico pensiero, e a questo si deve resistere. Bisogna avere la volontà di informarsi bene. Mia figlia, che è cresciuta con mia madre vicino sempre, in un tema alle elementari, descrivendo sua nonna aveva scritto “La frase che mi dice sempre mia nonna quando facciamo i compiti assieme è Non avrai mai nessuna risposta se non imparerai a fare domande”Questa frase dice tutto, perché è l’antitesi al “credere, obbedire e combattere“, slogan del fascismo. Oggi bisogna resistere e continuare a fare domande, perché se si smette di farle, è l’inizio della fine.

 

onalim&lovelymilano: G R A Z I E

Trailer di Linea Rossa, il documentario di Franco Bocca Gelsi ed Enzo Coluccio realizzato in omaggio alla memoria di Albe e Lica Steiner.

http://www.youtube.com/watch?v=g4DQg9pPJzQ