Come si scrive un curriculum

by Isabella


Milano è la capitale economica italiana. Chissà quanti curriculum vitae girano in questa città! Ma i nostri curriculum anche se scritti con impegno finiscono per essere tremendamente impersonali, e anche se sono dettagliatissimi danno un’immagine di noi distorta, parziale e avvolta nella nebbia.

C’è una poesia bellissima di Wislawa Szymborska che si intitola

“Scrivere un curriculum” e dice così.

Cos’è necessario?
E’ necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.

A prescindere da quanto si è vissuto
il curriculum dovrebbe essere breve.

E’ d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e ricordi incerti in date fisse.

Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.

Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all’estero.
L’appartenenza a un che, ma senza perché.
Onorificenze senza motivazione.
Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.

Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.

Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa, che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l’orecchio scoperto.
E’ la sua forma che conta, non ciò che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.

Bellissima, no?

Ecco circa un anno fa io e Daria riflettendo proprio su quest’argomento avevamo cominciato a elencare una serie di esperienze che dovrebbero essere scritte nel nostro curriculum. Un curriculum Onalim, ovviamente. Cioè un curriculum che parla veramente di noi, e fa capire chi siamo. Ve le risparmiamo tutte, ma vi faremo degli esempi significativi.

Ad esempio nel curriculum di Daria alla voce ISTRUZIONE dovrebbe esserci scritto che lei ha frequentato un asilo hippy dove dipingeva sui muri in mutande e si buttava dagli armadi alti due metri su dei materassi messi a terra. Daria dice di avere trovato recentemente una sua foto di quel periodo in cui era tutta sporca di sugo e sorrideva felice. Spero di vedere molto presto questa foto, che tra l’altro Daria potrebbe pinzare al suo curriculum. Credo che quella foto possa raccontare di Daria molto più che una sua foto recente, fatta di tre quarti, in cui è vestita seriamente.

E alla voce ESPERIENZE LAVORATIVE, nel suo curriculum dovrebbe esserci questa storia meravigliosa. Daria nel 1998 viveva in Cina e si trovava in un bar con un amico, quando era entrato un tizio svedese e aveva detto che stava cercando una ragazza per offrirle un lavoro di qualche giorno. E l’amico di Daria l’aveva indicata e aveva detto “Ecco, prendi lei”. E così Daria aveva preso un aereo con lo svedese e si era trovata in un luogo deserto insieme a delle atlete primatiste mondiali di nuoto. Il suo lavoro consisteva nel tenerle d’occhio. Ma in che senso? Ecco Daria doveva andare in bagno insieme a loro e controllare che le campionesse non scambiassero o purificassero in qualche modo la loro pipì, perché quella pipì doveva essere sottoposta a dei test antidoping. Amo questa storia, eppure sul curriculum di Daria non c’è traccia di questa esperienza lavorativa. Scandaloso!

Nel 1998 mentre Daria raccoglieva pipì, io a Scopello in Sicilia organizzavo e presentavo in spiaggia una serata ispirata alla trasmissione Beato tra le donne. Questa storia si potrebbe scrivere fra le ESPERIENZE EXTRA E HOBBY, dove tutti scrivono: tennis e golf. Quell’estate avevo fatto amicizia con Vincenzo, il gestore del baretto sulla spiaggia, che evidentemente doveva avere un debole per me perché quando gli avevo detto con la sabbia fra i capelli “Organizziamo qui Beato tra le donne per ferragosto?” lui mi aveva guardato seriamente e mi aveva procurato gli sponsor, i microfoni e il pubblico. Io avevo cercato i concorrenti, pregandoli in ginocchio, inginocchiandomi sui sassi della spiaggia di Scopello. La notte di ferragosto quando ero scesa in spiaggia pensando di fare una cosa fra amici, avevo trovato centinaia di persone che erano venute a vedere Beato tra le donne. Quando li avevo visti mi ero sentita un po’ male, e allora avevo chiesto a Vincenzo di passarmi un po’ di birra Mcfarland che era il nostro sponsor, e avevo tracannato tre bottiglie tutte d’un sorso, e poi lo spettacolo era cominciato, ma io non ricordo molto, perchè la Mcfarland quella sera era la mia migliore amica. Il giorno dopo, mi ero svegliata ero andata in cucina, e avevo incontrato mio padre sorridente che mi aveva detto “Sei stata brava ieri” e io “MA PERCHE’ C’ERI ANCHE TU?” e lui “Certo, sei stata brava”. Allora avevo aperto il frigo in cerca della mia migliore amica ma non c’era.

Infine alla voce ASPIRAZIONI E AMBIZIONI io dovrei assolutamente raccontare quest’altro fatto reale. Allora andavo alle medie, e dovevo andare a una festa di carnevale. Non sapevo proprio come vestirmi, ero triste e goffa e sapevo che una volta arrivata alla festa non avrei ballato nessun lento. E allora mia mamma conoscendo la mia megalomania si era avvicinata e mi aveva proposto un costume esaltante. Aveva detto “Isa vuoi vestirti da genio? Te lo cucio io il vestito, adesso”. Io mi ero illuminata, che idea, che scacco matto alle mie amiche bone delle medie. Io sarei entrata trionfante, come genio. Insomma mia mamma aveva colpito nel segno e in meno di un’ora mi aveva organizzato un vestito semplice che prevedeva che in testa avessi una lampadina. Ma la vera genialata era che mia mamma che si intende anche di marchingegni elettrici, aveva collegato la lampadina a un filo, che mi passava fra i capelli e poi nella manica della giacca, che finiva con un interruttore che tenevo stretto nella mano! Insomma bastava fare click e la lampadina che avevo in testa si accendeva. Wow. Grazie mamma! E così ero andata alla festa, e come previsto non avevo ballato con nessuno, le mie amiche erano vestite da femmine con le gonne, mentre io avevo la giacca da uomo, i pantacollant e una lampadina in testa. Però sarà stato per il vestito, ma avevo davvero avuto un’illuminazione. Cioè andavo dalle coppie che ballavano, mi piazzavo davanti, accendevo la lampadina e dicevo “Ho avuto un’idea! Dovete cambiare coppia, tu ora balli con quello e tu con quell’altro”. Che divertimento! Neanche questo appare nel mio curriculum, eppure è stata un’esperienza molto importante, in cui ho capito che potevo controllare tutto, e manipolare le menti dei miei compagni.

Insomma penso che il curriculum Onalim dovrebbe tenere conto di queste tappe fondamentali della nostra vita, e inoltre dovrebbero essere elencati anche i nostri migliori insuccessi. Gli insuccessi dicono molto di noi, e per questo bisogna volergli bene, e anche saperli riconoscere dice già molto di noi. E allora con un curriculum più vero, e più simile a noi, potremmo trovare delle situazioni lavorative più felici. E chissà, forse, con un po’ di fortuna, addirittura idilliache. 

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  1. Ma non l’avevi già letto? Quindi tu non leggi tutto quello che scriviamo? DARIA hai sentito?

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  2. Ho sentito, ma ricordati sempre quella volta che si e’ collegato a Onalim mentre era in viaggio in Marocco, e io l’ho visto dalla mappa dei visitatori. Quella commozione non la dimentichero’ facilmente

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  3. Norma Desmond

    E chi l’ha detto che non si possono scrivere? Io fra i lavori ho reinserito di recente “bracciante agricola c/o fattoria XY”, basta trovare un modo compassato di scriverlo…
    Tra l’altro in un’intervista una direttrice delle risorse umane di nn so quale roba di moda disse di aver assunto (in stage, of course) un ragazzo perché fra le sue esxienze lavorative figurava un anno da ragazzo alla pari a Londra… C’è speranza x la razza umana!

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