Il pianoforte smarrito: L’APPLAUSO

Questo racconto ha partecipato al concorso letterario “Il pianoforte smarrito” ispirato a un fatto di cronaca, realizzato in collaborazione con Belleville La Scuola e PianoCityMilano.

L’APPLAUSO

di Graziano Gala

Una o. Mancava una o. E poi avrebbe potuto vantare una parentela, un’omonimia o qualsiasi altra cosa del genere.

Ci pensava ogni santa mattina Marco Poli, prima di timbrare il cartellino: una vocale sbagliata, e neppure di tanto, gli precludeva anche questa gioia.

Operatore ecologico: i grammatici italiani avevano trovato un nome appropriato per ingentilire la professione meno amata al mondo: alzarsi nel cuore della notte per ripulire l’ultimo schifo lasciato in strada da milanesi e limitrofi.

Mondare la strada e svuotare i cassonetti: un lavoro che al Poli, in realtà, piaceva e non poco. A suo figlio un giorno avrebbe raccontato di essere un pirata e di uscire ogni mattina presto per una nuova emozionante caccia al tesoro. E in fondo, il nostro operatore, la pensava proprio così, giacché la gente a Milano butta di tutto, non avendo abbastanza tempo, cuore e spazio per ricordare.

Qui si viaggia a ritmo di metro – un mambo velocissimo che ricomincia ogni tre minuti – e fermarsi, ricordare e accumulare oggetti in appartamenti da quarantotto metri quadri vuol dire trasformare la propria abitazione in una cantina a cielo aperto fatta di letto, cucina e cimeli ricoperti di polvere e nostalgia.

Di tutto si trovava: racchette, mazze da golf, cornici, zanne in avorio, elefanti in legno, statuette votive, vecchi apparecchi elettronici.

Ma stanotte per Marco Poli, malcapitata vittima di un’ingiusta vocale, il gomitolo delle strade milanesi preparava il più bello dei rinvenimenti.

Immondizia. Usuale catasto d’immondizia. Un plastico arcobaleno giallo-rosa- turchese fatto di buste e bustarelle dalle varie forme, dimensioni e fragranze. Una sorta di barricata creata involontariamente ai fianchi di ciascuna delle strade milanesi. «Ecco qui le trincee – pensava Poli tra sé – chissà quando comincia la guerra.»

Pensatore il Poli, e dei più arguti: maturità classica pariniana conseguita in centro Milano con cento centesimi, diploma al conservatorio in pianoforte, iscrizione in prestigiosa università e morte improvvisa del padre che manda all’aria baracca e burattini costringendo moglie e figli alla vendita dei beni ed al tempestivo trasferimento a Vimercate.

Insomma, una delle più belle promesse dell’annata ’87 bloccata dalla sorte e insaccata in una divisa catarifrangente: ecco, signori di Milano, chi vi pulisce il sedere.

Oggi però l’oceano nero verde di sacchi e cassonetti ha preparato una sorpresa grossa al mio viaggiatore: forza Poli, pulisci bene, che la Cina è lontana ma stasera facciamo il botto lo stesso.

Corso Sempione, arco della Pace: una marea multicolor da spostare e caricare a poco a poco su apposito furgoncino triturante, con annessa spazzata all’asfalto sottostante.

Qualcosa di scuro, sporco e … solido.

«Non è vero» – pensò l’operatore dentro di sé – per poi gridare apertamente: «Non è vero!».

Una Y. Poi una A. E una M.

E sacchi gettati alla rinfusa per strada e spazzino che getta sacchi alla rinfusa e un piano appena partorito dal letamaio di corso Sempione.

La tuta da lavoro sfilata di fretta e utilizzata come panno per ripulire lo strumento. Due sacchi adattati a sgabello. Il freddo: non quello milanese che ghiaccia la strade, ma quello delle occasioni importanti: il primo bacio, il primo giro sul motorino, il primo concerto all’aperto improvvisato in corso Sempione.

Le mani che scivolano sul bianco un po’ ingiallito dei tasti, prima insicure, poi più calde, certe, tranquille. I topi, i senzatetto, gli avventori dei locali in chiusura che si fermano ad ascoltare. Milano che sospende per tre minuti il suo mambo sballato da binario della metro.

Čajkovskij, Il lago dei cigni: quello che il Poli suonava ogni benedetta sera, prima che la Mannaia gli portasse via padre, pianoforte e patrimonio. Quello che ticchettava sulla scopa con le nocche ogni mattina recandosi al lavoro. Il lago dei cigni suonato alle tre di mattina su un palco improvvisato dinanzi a pochi spettatori: Milano è città di sorprese e nevrosi.

Sui balconi, dalle finestre qualche curioso. Poi qualche altro. Poi sempre di più, compresa una volante. Il cuore che pigia i tasti, la mano che frena i battiti – e sono troppi, e Marco non sa se è in grado di reggerli – il pubblico, impigiamato, che ascolta.

Una vecchia, da un balcone, che fa sbattere ritmicamente i due palmi delle mani. Molti che la imitano, forze dell’ordine incluse. Un applauso lungo, scrosciante, accompagnato dal silenzio del resto. Milla Letizi che esce dalla sede Rai e mette mano al taccuino. Marco Poli, netturbino per necessità e pianista per vocazione che si inchina e saluta la folla nella sua Scala improvvisata.

Il resto di Milano, che dorme, cullato da un pianoforte in corso Sempione.

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